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L'equivoco degli asana: pratica o performance?


Oggi gli asana, le posture, sono l’elemento più rappresentativo dello Yoga. Negli ultimi anni hanno addirittura assurto al ruolo di fenomeno di costume, invadendo social network e pubblicità. E nonostante tutti continuiamo a ripeterci che, in fin dei conti, gli asana sono solo un aspetto del percorso dello Yoga, la loro odierna predominanza divide gli yogi. Davvero lo Yoga è stato degradato a mera pratica ginnica?

Partiamo dalle basi: cosa sono gli asana e perché fanno parte della pratica di una disciplina così strettamente legata alla sfera spirituale?

Il termine sanscrito asana significa “stare seduti”. E sono molte le fonti secondo le quali in principio veniva utilizzato per indicare le sole posizioni sedute di meditazione. È molto probabile che Patanjali negli Yoga Sutra (III secolo a.C.- IV secolo d.C.) utilizzasse la parola asana in questo senso, dedicando all’argomento solamente tre sutra:

La postura deve essere comoda e stabile

Grazie al rilassamento dello sforzo e all’incontro con l’infinito

Così da non esser più colpiti dalla coppia di opposti

Yoga Sutra II, 46-48

Le prime vere e proprie descrizioni di asana non sedute nello Yoga risalgono al Medioevo, con le pratiche di Hatha Yoga.

Come un recipiente di terra non cotta gettato nell’acqua, il corpo va presto in rovina (in questo mondo). Cuocilo bene nel fuoco dello Yoga in modo da fortificare e purificare il corpo.

Gheranda Samhita, 1,8

Le pratiche fisiche con l’Hatha Yoga divengono i mezzi per purificare e fortificare il corpo. È qui che gli asana, così come li intendiamo oggi, iniziano a essere considerati parte del percorso.

L’Hatha Yoga ha influenzato fortemente tutti gli stili di yoga moderno di tipo posturale, ed è spesso considerato sinonimo di “yoga degli asana”. Tuttavia le posture descritte nei testi sono molto poche, e sono solo un aspetto della disciplina dell’Hatha Yoga, che prevede anche altre tecniche energetiche e di purificazione (shatkarma, pranayama, bandha, mudra) forse meno conosciute perché hanno avuto minor diffusione in Occidente.


Fu più tardi, con gli insegnamenti di Tirumalai Krishnamacharya (18 novembre 1888 – 28 febbraio 1989) considerato il padre dello Yoga moderno, e dei suoi famosi discepoli di Mysore (Pattabhi Jois, creatore dell’Ashtanga Vinyasa Yoga e B. K. S. Iyengar, ideatore dell’omonimo stile) che gli asana furono portati all’attenzione del pubblico, aprendo la strada alla pratica posturale, oggi predominante in Occidente.

Lo Yoga che pratichiamo oggi quindi, ha perso molti degli aspetti tradizionali, eclissati dalla grande diffusione che ha avuto la pratica degli asana. Inoltre molte delle pratiche fisiche introdotte a noi occidentali come estremamente antiche, sarebbero in realtà molto più recenti di quanto possiamo pensare, se non addirittura moderne.

Quindi lo Yoga praticato oggi non ha nulla a che vedere con lo Yoga della tradizione?

Rendersi conto che l’antichissima scienza dello Yoga è stata ed è tuttora in evoluzione è una scoperta che potrebbe farci inorridire, ma non dobbiamo dimenticare che lo Yoga è un’intuizione umana (sebbene miri a trascendere l’umano) e come tale per adattarsi all’uomo moderno è inevitabilmente andato incontro ad alcune trasformazioni.

Sarebbe semplicistico affermare che lo Yoga posturale moderno non abbia alcuna relazione con la pratica degli asana della tradizione indiana. In realtà quello che pratichiamo oggi è il risultato di un processo di innovazione e sperimentazione che tiene in considerazione le nuove visioni del corpo, conseguenza dell’incontro dell’India con la modernità.

Per capire questo processo, bisogna considerare che la modernità ha portato a un essere umano dalla fisicità rigida, dissociato dal proprio corpo e proiettato in una mente iperattiva e dispersiva; soprattutto in Occidente. Un corpo squilibrato e irrigidito però, non consente lo sviluppo della coscienza, ed è un ostacolo alla consapevolezza lucida e al contatto con l’essenza, indispensabile a qualsiasi percorso spirituale e meditativo.

È qui che si è innestato il processo di recupero della funzionalità corporea. È qui che la pratica degli asana è divenuta lo strumento per entrare in contatto con il proprio corpo attraverso movimento, immobilità e abbandono. Attraverso gli asana siamo tornati a percepire la vita che scorre nel corpo, nei muscoli, nelle articolazioni, nel respiro.

La percezione della vitalità del corpo è il primo passo verso la comprensione che questa vita, questa energia che ci attraversa, è la stessa che anima tutto ciò che ci circonda. Tutto è uno. E questo è Yoga.

In alcuni casi però gli asana da strumento si sono trasformati nel fine della pratica. E questo allontana tragicamente dall’obiettivo dello Yoga, che è un’esperienza, non una posizione. Praticare non è inseguire una "posizione apice". Piuttosto è imparare a sentire il corpo a partire dagli asana più semplici.

L’obiettivo della pratica degli asana non è riuscire nelle posizioni più impegnative! Questo semmai è un effetto collaterale di una costante pratica di consapevolezza corporea, nel pieno rispetto dei limiti e dei tempi del corpo.

Se ci sforziamo di assumere una forma, se ci poniamo dei traguardi, e per raggiungerli ci opponiamo al sentire del nostro corpo anziché accoglierlo, saremo concentrati sul risultato piuttosto che sull’esperienza. E ancora una volta saremo proiettati nella nostra mente, lontani dai noi stessi e più che mai dallo Yoga.

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