Viviamo un tempo in cui c’è un gran bisogno di mostrare al mondo intero quello che facciamo, pensiamo, mangiamo. Molti di noi hanno una vera e propria seconda vita sui social, sui quali condividiamo infiniti momenti della nostra giornata, attraverso stories, post e immagini.
Non c’è da chiedersi se sia giusto o sbagliato; semplicemente questa è la situazione, e ne prendiamo atto. D’altronde anche chi critica aspramente il fenomeno, ne subisce poi inevitabilmente il fascino.
Ciò che dovrebbe far riflettere allora, non è tanto la nostra necessità di condividere la nostra vita, quanto il fatto che i nostri profili ne raccontino una versione artefatta.
Quella che costruiamo sui social non è un’immagine fedele di noi stessi, piuttosto è la vita che vorremmo vivere. E per questo andiamo in caccia di continue gratificazioni attraverso like e commenti; per compiacerci di mostrare al mondo intero la nostra esistenza così come la sogniamo.
Il fenomeno Yoga non fa eccezione a questa tendenza. Siamo bombardati di immagini di “Yoga influencer”, che ogni giorno documentano attraverso i social network, la propria evoluzione nella pratica, inseguendo il mito di un allineamento sempre più definito e di una postura sempre più “avanzata” alla ricerca della perfezione. Ovviamente sempre in posti da sogno.
Yogi che impartiscono imperdibili lezioni di vita, salute, alimentazione, tecnica. Si esibisce la prodezza fisica, si incoraggiano le “sfide a colpi di asana”, dilaga il product placement. Ci danno continue lezioni di pace interiore.
Non voglio fare una paternale sulla degenerazione dello yoga occidentale rispetto alla purezza della tradizione. Lo Yoga è entrato nella nostra vita, fatta anche (e per qualcuno soprattutto) di social, è naturale che dilaghino immagini “yogiche” di ogni genere, non c’è motivo di stupirsi. Nonostante questo, non nego il mio disagio. Non tanto per l’abbondanza di immagini in sé, ma per l’eccessiva presenza di immagini di sé. Foto nelle quali tutto è sempre perfetto, splendente, tutto emana luce divina ed equilibrio interiore. Immagini che piuttosto che dare risalto a un messaggio, danno risalto alla persona... o alla marca dei suoi leggins.
Provo un certo imbarazzo di fronte a post che citano testi della tradizione… falsi. La maggior parte dei “social guru” non hanno davvero letto ciò che scrivono. Più spesso attingono a improbabili siti di aforismi, nei quali frasi del Buddha si affiancano a tweet di ispirazione. Persone affamate di lodi che hanno una particolare abilità a creare intorno a loro una corte adorante.
Provo disagio di fronte a slogan motivazionali del tipo “il corpo può tutto, basta volerlo”, “guarda nel 2017 come eseguivo questo asana… e guarda che progressi nel 2020!” oppure “se questo asana è il tuo obiettivo…prova prima questo!”.
L’intento è sempre quello di spingere il corpo in posizioni spettacolari, spesso del tutto inventate. Posizioni al limite della stabilità, nel costante tentativo di oltrepassare i limiti fisiologici del corpo stesso. Cercare sempre un “di più”, spostare continuamente avanti l’obiettivo. Questo non solo fa sì che il comune praticante si senta incapace di fronte all’archetipo irraggiungibile della postura - o che si faccia male per imitarla -, ma rischia di proiettarci verso un obiettivo di forma impedendoci di vivere l’esperienza dell’asana.
Un asana deve essere bello “dall’interno”. Non deve per forza rispecchiare un’ideale di allineamento estremizzato.
Certo l’allineamento è importante nella pratica, ma nella misura in cui ci permette di ridurre le tensioni nel corpo. L’obiettivo è sempre quello di minimizzare lo sforzo, attivare solo l’indispensabile e, soprattutto, sentirsi bene nell’asana; viverlo. Ciò che rende bella una postura è il nostro starci bene, il sentire piuttosto che l’apparire. Questo atteggiamento rende la pratica uno strumento di percezione di sé molto profondo, che va oltre l’asana in sé.
Non sto ovviamente dicendo che chi si fa una foto o un video mentre pratica e lo condivide sui social sia un eretico. Pensate, capita anche a me di farlo, a volte! Non voglio neanche mettere in discussione la validità dell’esperienza catturata nell’immagine. Ciò che mi rende dubbiosa è il fatto che questa esperienza possa essere confusa con l’immagine stessa.
Dovremmo renderci conto che condividere una foto in cui eseguiamo un asana spettacolare, magari su una spiaggia al tramonto o in un tempio nepalese, potrebbe non essere molto diverso dallo scattarsi un selfie nello spogliatoio di una palestra mostrando i bicipiti.
Possiamo farlo, certo, ma dobbiamo anche essere onesti con noi stessi e riconoscerlo.
Ciò che mi preoccupa, non è tanto l’abbondanza di immagini di questo tipo, ma che lo Yoga diventi qualcosa tra le altre cose; qualcosa che si fa e che cessa di essere se non lo si fa. Che la pratica, come il resto, sia qualcosa che smette di esistere se non la si condivide sui social.
Lo yoga ci insegna a vivere il momento presente, ma non con lo smartphone sempre in mano!
Come possiamo pensare di insegnare agli altri ad accrescere la propria consapevolezza, se noi stessi più che vivere la realtà, cerchiamo costantemente di costruirne una rappresentazione?
Credo che bisognerebbe lasciare spazio a un legittimo dubbio, prima di convincersi di essere fonte di ispirazione per gli altri, rischiando di trasformare una disciplina che mira a liberarci dalla schiavitù dell’ego in una scuola quotidiana di narcisismo.
Se da un parte possiamo trovare atteggiamenti narcisistici, dall’altra c’è una schiera di giudicanti rabbiosi, tutti dotati di un profilo social yogico, che gridano all’eresia.
Laddove si dovrebbe mantenere un sano distacco, si creano schieramenti e polemiche, che non fanno altro che farci sentire migliori di altri, dividerci e renderci aggressivi . Questo si che è in netto contrasto con lo spirito yogico.
Chi ha ragione? Nessuno. Chi crede di aver afferrato una verità, e si atteggia a “maestro” con l’idea di essere migliore di altri o indottrinarli, si allontana dal percorso indipendentemente dal messaggio che porta.
La verità è che bisognerebbe prendersi un po’ meno sul serio da entrambe le parti, pensare prima di tutto a vivere il nostro percorso Yoga e, perché no, anche condividere delle immagini se ci fa piacere, ma con maggiore leggerezza e umiltà.
Il praticante deve sapere che ad ogni passo può inciampare. E deve coltivare una sincera umiltà ; tanto più grande quanto più avanza. La vera umiltà è fatta di semplicità, di comprensione.
Dovremmo ricordarci che lo Yoga non è spettacolo né giudizio. Lo Yoga è uno stato che si ricerca attraverso un percorso personale di conoscenza di sé. È qualcosa che si sperimenta, si vive. L’esperienza di questo stato è una cosa che difficilmente riusciremo a comunicare attraverso un post o un’immagine, per quanto bella sia le nostra foto e profonda la citazione riportata nella didascalia.
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